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Miracolo del grano, con san Giovanni Gualberto

Questo dipinto, insieme al suo pendant col Miracolo della fonte, e alla tavola di Santi di Tito con la Moltiplicazione dei pani e dei pesci, è stato donato al Museo di Palazzo Pretorio dalla contessa Angela Riblet, ultima proprietaria della Villa detta Palagio degli Spini a Peretola, da cui le opere provenivano. La pala col miracolo del grano operato da san Giovanni Gualberto a Passignano ricrea intorno alla imponente figura del santo una scena dinamica e vivace, coronata dal notevole paesaggio, che mostra richiami all’arte fiamminga.

La famiglia fiorentina degli Spini aveva affidato a Santi di Tito la completa ristrutturazione della loro villa suburbana a Peretola; quasi al termine dei lavori anche Alessandro Allori, al culmine della carriera, collaborò agli interventi decorativi nella cappella, completandola forse dopo la morte di Santi di Tito nel 1603. L’articolata decorazione, che si sviluppava soprattutto intorno alle tre grandi pale, comprendeva anche altri dipinti e affreschi con santi, angeli, cherubini e grottesche: opere oggi perdute, ma la cui descrizione è nota grazie a un documento del 1615.

L’opera dipinta da Alessandro Allori celebra uno dei miracoli tradizionalmente attribuiti a san Giovanni Gualberto, fondatore della Congregazione dei Vallombrosani: in un anno di tremenda carestia soltanto al monastero di Passignano, dove egli si era ritirato, rimase una piccolissima scorta di grano. Il monaco ordinò che fosse divisa, e dopo aver riempito sacchi di grano sia per tutti i monasteri dell’ordine, sia per tutti i poveri che si recarono all’abbazia, il granaio restò miracolosamente stracolmo per lungo tempo.

La composizione della tela fu accuratamente studiata dall’artista fiorentino della corte medicea, come documentano vari disegni preparatori conservati nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. L’Allori, con ampi interventi della bottega, ricrea intorno alla imponente e statica figura del santo una scena dinamica e vivace, coronata dal paesaggio che risente dell’arte fiamminga, in cui è riconoscibile la veduta dell’abbazia di Vallombrosa, dove Giovanni Gualberto aveva fondato la congregazione di monaci benedettini. Come nell’altra pala per la cappella, l’artista inserisce fra i personaggi alcuni ritratti ben caratterizzati: qui a essere immortalati sono, sulla destra, gli eredi del committente Geri Spini, uno dei quali con aria compiaciuta guarda fuori dalla scena, verso l’osservatore.